Al di là delle bombe di camorra

Qualche anno fa, in uno dei nostri progetti nelle periferie dell’area Nord di Napoli, chiesi ai bambini di una quarta elementare di spiegarmi il significato che per loro aveva il termine “diritto”. Non mi aspettavo certo una definizione accademica, ero più che altro preparato a raccogliere esempi per approfondirli insieme durante la lezione. Rimasi invece molto colpito quando uno degli alunni, alla parola “diritto”, reagì mimando il gesto delle manette. Ricordo ancora l’espressione che aveva: seria, quasi torva. Appresi più tardi che la sua distorta visione del tema era la risultante di una serie di problemi giudiziari riguardanti alcuni suoi familiari. I bambini dopotutto sono come spugne: quello che vedono, ascoltano, vivono, inevitabilmente lo assimilano.

Parto da qui allora: da uno studente di quasi nove anni nato e cresciuto in periferia, in uno dei più difficili rioni della mia città, Afragola, oggi nota per essere al pari di un territorio di guerra, con otto attentati esplosivi di matrice camorristica registrati in appena venti giorni.

Parto da qui perché in queste ore tutta Italia ha riscoperto che la criminalità organizzata fa rumore, lo stesso delle bombe piazzate vigliaccamente – nella notte – sotto le saracinesche dei piccoli commercianti.
Magari, dico io (provocatoriamente), si trattasse solo di esplosioni, magari!
Purtroppo la realtà – quella che non è tutti i giorni sulle pagine di cronaca, che forse neanche interessa all’Italia distratta che oggi si batte il petto indignata – è molto più complessa.
La camorra c’è anche e soprattutto quando non fa rumore, ed è più potente, più sicura.

Metafora delle mafie in un dipinto di un collaboratore di giustizia

Esiste e prospera nei quartieri abbandonati da decenni, forte della pesante e strumentale assenza dello Stato, dove opportunità e servizi si misurano con i favori chiesti ai signorotti locali. Si rafforza, silenziosa, con il malessere sociale diffuso, con la povertà culturale che affligge intere aree del Paese, con la snervante incapacità politica di programmare uno sviluppo omogeneo del territorio o di garantire il rispetto minimo dei diritti fondamentali. È in questo contesto stratificato di profonda debolezza che prima di ogni cosa le mafie attecchiscono culturalmente, insinuando le logiche barbare della sopraffazione, della sottomissione che chi è più debole deve al più forte per poter sopravvivere. È così che l’anormalità diventa quotidiano, che si smette di avere fiducia nelle Istituzioni, che si finisce per confondere il Diritto – meraviglioso strumento di libertà – con un sinonimo di repressione da allontanare e demonizzare; proprio come fece il piccolo bambino da cui siamo partiti, con quel gesto orribile per lui tanto naturale.

Le bombe di cui parlate oggi sono solo la punta dell’iceberg.
E mi rendo conto – leggendo gli affettuosi messaggi di vicinanza inviatimi da amici di altre parti d’Italia – che qui combattiamo una guerra logorante anche solo per non abituarci mai a tutto questo.
Sarebbe la fine, se accadesse.
L’abitudine alla paura, alla violenza, all’ orrore, finisce per diventare indifferenza, ed è peggio persino della rassegnazione. Se consentiamo a questi ignobili parassiti di condizionare le nostre vite, al punto da imporci il ritmo della quotidianità o il metro di giudizio con cui valutare i fatti, allora moriamo come cittadini.

L’ottava bomba ad Afragola, la scorsa notte, non è stata come le altre.

Afragola, ottava bomba di camorra in venti giorni.

È esplosa, più forte e in un orario trafficato, nei giorni in cui aumentava l’attenzione mediatica sul territorio, poche ore dopo un importante blitz delle forze dell’ordine. Un’arrogante prova di forza che dimostra il muscolare desiderio della criminalità organizzata di affermarsi sopra tutto e tutti, di instillare paura per ottenere controllo, di schiaffeggiare le Istituzioni sostituendosi a loro. Un messaggio spudorato che deve indignarci enormemente, e che richiede una reazione efficace. Usare l’immobilismo dello Stato come alibi per rassegnarsi, o peggio arrendersi, non salverà né il nostro futuro né quello di questa terra. Serve capire che non è necessario essere eroi per vincere una battaglia di civiltà, basta iniziare ad affermare il valore della legalità comportandosi di conseguenza, trovare il coraggio di denunciare e di spingere la classe politico-amministrativa a un attivismo in materia ad oggi inedito. Bisogna essere consapevoli che non è solo zittendo le bombe che si sradica un cancro così diffuso, urge un’azione lungimirante a tutto campo, un lavoro combinato di prevenzione e sanzione che unisca l’approccio socio-culturale al lavoro della magistratura. Più di tutto, in ogni caso, è fondamentale restare uniti come comunità, donne e uomini liberi che rappresentano l’essenza stessa di uno Stato civile e democratico.

È da qui che dobbiamo ripartire, dalla voglia disperata di spiegare a quel bambino di quarta elementare che il Diritto è una conquista unica, che può dargli l’opportunità di un futuro diverso, migliore, senza alcuna forma di oppressione. Per farlo però dobbiamo essere i primi a crederci per davvero, altrimenti avremo solo incassato un’ultima imperdonabile sconfitta.
A noi la scelta.

Salvatore Salzano

 

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