Calcio e Violenza: quelle ombre sugli stadi

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Scontri tra ultras e forze dell’ordine

Venticinque anni sono passati dal celebre Rapporto Taylor, il documento emanato in Gran Bretagna in merito a sicurezza negli stadi e tifo violento. Il pugno della “Lady di Ferro” Margaret Thatcher si abbattè con forza sulle società calcistiche e sugli hooligans britannici, rei di aver messo in ginocchio il Regno Unito seminando violenza dentro e fuori gli stadi. Una violenza che non risparmiava estranei al mondo del calcio, che faceva vittime tra giovanissimi e studenti, e che molto frequentemente sfociava in guerriglie urbane, agguati e devastazioni di locali e pub, allora focolari e pittoreschi luoghi di ritrovo degli ultrà inglesi, quasi tutti facenti parte della working class operaia.
I colpevoli che si macchiarono di omicidi e aggressioni, furono processati per direttissima, e nemmeno le stesse società sportive furono risparmiate: numerose le sanzioni pecuniarie e il bando delle stesse dalle competizioni europee per ben cinque anni. Il fenomeno degli hooligans allora si stava rapidamente diffondendo a macchia d’olio in gran parte dell’Europa, causando centinaia di vittime tra tifoserie avversarie e disastri calcistici che rimarranno tristemente famosi presso l’opinione pubblica, tra queste la strage dell’Heysel e la tragedia di Hillsborough. Due le cause principali: i sistematici raid da parte delle frange più estreme delle tifoserie e le condizioni fatiscenti ed obsolete dei molti stadi.

La situazione attuale, in Gran Bretagna, è decisamente diversa: la violenza delle tifoserie è stata da tempo estirpata e molti stadi della Union Jack vantano meriti e status di eccellenza. In Italia, stando invece agli avvenimenti recenti, le cose vanno progressivamente verso il fondo. E non si tratta di generalizzazioni o di una radicata tendenza a denigrare la situazione italica, bensì di vicende che parlano fin troppo chiaro. Il tentato omicidio del tifoso napoletano a Roma, per quanto abbia tristemente ricevuto enorme risonanza, è uno dei tanti episodi che hanno mostrato la criticità e la crescente gravità della questione italiana in merito al calcio violento. Dove qui la violenza non è solo spranghe è petardi, è anche il vergognoso insulto di natura razzista, la discriminazione territoriale, l’inciviltà nelle strutture sportive, gli interessi da parte di “soggetti occulti” che architettano scommesse e “combine”, e numerosi altri atteggiamenti tipici della “mentalità ultras”, che spesso poi, sfocia in episodi come quelli della finale di Coppa.

Scartando qualsiasi ipotesi cospirazionista, è ormai noto il fatto che nelle curve italiane abbiano messo le radici criminalità e militanza politica. Numerosi i pregiudicati che si macchiano di crimini dentro e fuori gli stadi, e altrettanto cospicui i gruppi di estremisti politici affiliati con le tifoserie italiane. Pertanto una grossa differenza rispetto alle curve britanniche che, contando pur sempre elementi poco puliti all’interno dei gruppi ultrà, riflettevano più un malessere collettivo proprio della classe operaia, che spesso trovava nel calcio uno sfogo alla frustrazione degli orari di fabbrica e dei salari troppo bassi.
Tutto ciò è reso ancora più grave se si fa conto della situazione odierna di molti stadi nostrani, che risultano spesso più che inadeguati ad ospitare eventi calcistici seguiti tra l’altro, da milioni di spettatori.
Le risposte dello Stato sono ancora oggi del tutto inconcludenti, e in molti fece indignare la dichiarazione dell’ ex-Premier Mario Monti, il quale affermò –in merito alla vicenda calcio-scommesse- che il calcio italiano avrebbe dovuto fermarsi per almeno due o tre anni. Un’ipotesi assurda quella di mettere un fermo allo sport più seguito a livello nazionale, ma soprattutto arrestare un business che macina miliardi e miliardi di euro, tra eventi, sponsor, merchandising e scommesse.
Si è giunti in una situazione in cui il calcio è da considerarsi un vero e proprio sistema economico, che muove le sorti delle società e delle leghe professionistiche. Perché allora non potenziare le strutture, garantire più sicurezza e in genere mostrare tolleranza zero per violenti e facinorosi nelle curve?
Purtroppo si tratta di un modus operandi troppo italiota: fatalizzare sui problemi e non proporre soluzioni concrete. L’episodio della finale di Coppa Italia avrebbe dovuto essere la motivazione ultima per attivarsi e porre fine a malsane rivalità, ma come spesso succede, la notizia è passata in tutte le salse, rimbalzando da giornale a giornale, in alcuni casi dipingendolo addirittura come un episodio estraneo al mondo del calcio. Potrebbe essere invece un ulteriore motivo di scontro tra le tifoserie romane e napoletane, che di certo non vantano di ottima reputazione a causa dei soliti facinorosi.
L’Italia sta senza dubbio attraversando un momento non particolarmente favorevole dal punto di vista economico, e rivoluzionare il mondo del calcio potrebbe sembrare per molti l’ultimo dei problemi. Sarebbe in effetti disonorevole non mettere lo stesso zelo per risanare la ricerca, l’istruzione e la cultura…
Eppure nel calcio di cultura ce n’è tanta, c’è tradizione e spirito.
Spirito di competizione che se da un lato divide, molto spesso unisce.
Si fa carico di essere uno straordinario mezzo di comunicazione, trasmettendo i valori della multiculturalità e soprattutto del merito.
E l’Italia si merita davvero il calcio che ha?

“Il calcio è la cosa più importante delle cose non importanti” [A. Sacchi]
“Il pallone è importante, ma non dimenticate che è pieno d’aria” [G. Trapattoni]

 Gioacchino D’Antò

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