Andy Warhol al Pan di Napoli: “Vetrine”

“Siamo come vetrine in cui noi stessi continuiamo ad esporre un bell’ordine, a nascondere o a mettere in mostra, le pretese qualità che altri ci attribuiscono – per ingannarci.” Parte con questa citazione di Nietzsche l’esposizione dedicata ad Andy Warhol al Pan di Napoli intitolata, appunto, “Vetrine” (fino al 20 luglio, a cura di Achille Bonito Oliva). 180 opere, su due piani: serigrafie su tela e su carta, fotografie, cortometraggi, bozze ed opere maggiori per una delle mostre record degli ultimi anni nella città partenopea. Del resto, “la Pop Art è per tutti” e l’intera produzione di Warhol ne è la dimostrazione. Bisogna però fare una piccola puntualizzazione: quando si parla di “arte totale”, come quella del genio americano, è necessario andare oltre la rappresentazione e approfondire la riflessione che ha portato alla produzione stessa. L’arte warholiana parte da una acuta osservazione della società dei consumi americana, in quegli anni in pieno boom, e del conseguente sovrastare dell’impersonalità e del conformismo. andy-warhol-vetrine[1]La ripetizione ossessiva dei soggetti, tipica dell’artista, potrebbe essere scambiata per una totale affermazione della sacralità dell’immagine di consumo, ma Warhol aveva in mente altro: l’accumulazione pone l’accento sull’inflazione di quello che la società stessa ha eletto a icone di consumo – ed ecco opere che raffigurano le Campbell’s Soup, Marylin Monroe, Jackie Kennedy, il Brillo e poi la Statua della Libertà e Falce e Martello – ma soprattutto all’inerzia della reazione degli “spettatori”.

L’immagine che viene ripetuta, a volte quasi serializzata, permette a Warhol di demistificarla, di far emergere il vuoto dietro a ciò che viene mostrato. La smania di mostrarsi e mostrare, esibire, “vetrinizzare” il mondo è una costante di tutta la sua produzione e anche del modo stesso di fare arte: l’idea della Factory, il suo laboratorio, ha proprio questa origine. La totalità dell’arte di Warhol comprende collaborazioni e progetti che esprimono la multidimensionalità della sua capacità creativa: oltre alle classiche serigrafie la sua attenzione si volge alla musica – di cui è espressione la storica collaborazione con i Velvet Underground, sfociata nella copertina dell’album del 1967 con Nico – alla carta stampata, con l’esperimento della rivista “Andy Warhol’s Interview” fondata nel 1969. Focus della mostra è però il rapporto dell’artista con Napoli, città che visita per la prima volta verso la metà degli anni ’70, ospite del gallerista Lucio Amelio. Le ultime sale raccolgono le vedute partenopee delle sue “Napoliroid”, fotografie istantanee autografate della città che conquistò l’artista: “Amo Napoli perché mi ricorda New York, specialmente per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada. Come New York è una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice come quella di New York.  Quello che preferisco di più a Napoli è visitare tutte le vecchie famiglie nei loro vecchi palazzi che sembrano stare in piedi tenuti insieme da una corda, dando quasi l’impressione di voler cadere in mare da un momento all’altro. A Napoli c’è anche il pesce migliore, la migliore pastasciutta ed il vino migliore. Cos’altro potrei aggiungere?”.

Il percorso espositivo si snoda poi attraverso i ritratti dei personaggi noti della città, che Warhol ebbe modo di conoscere durante le sue visite in Italia, raccolti nei dipinti della serie “Vanity Portaits”, tra i quali troviamo Joseph Beuys: da questo incontro nacque la mostra di ritratti “Beuys by Warhol” che fu inaugurata nell’aprile del 1980. Proprio all’amicizia con Lucio Amelio si deve la nascita del suo più noto e monumentale headline work, “Fate presto”, basato sulla prima pagina del Mattino del 23 novembre 1980, ideato per la mostra-collezione organizzata dal gallerista, come risposta alla distruttiva violenza del terremoto in Irpinia di quell’anno. L’opera “napoletana” più famosa dell’artista è la serie “Vesuvius” del 1985, con la quale termina l’esposizione. Il simbolo della città partenopea diventa “pop” e viene ritratto in un immaginario momento di attività – “Per me l’eruzione – spiegò infatti Andy Warhol – è un’immagine sconvolgente, un avvenimento straordinario ed anche un grande pezzo di scultura… Il Vesuvio per me è molto più grande di un mito: è una cosa terribilmente reale”. Agli occhi di una personalità artistica come questa non poteva non risaltare il fascino assoluto del panorama napoletano, reinterpretato in cinque serigrafie su tela e due su carta, tutte presenti nelle sale del Pan. Una mostra che cala il visitatore in un’esperienza artistica che ruota su un uomo, su un genio, che ha fatto dell’arte il suo modo di dissacrare la realtà e allo stesso tempo grazie ad essa di quella realtà ne è diventato protagonista assoluto.

                                                                                                                        Andrea Del Gaudio

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