“Yo tinc cor català!” – Due italiane di ritorno dalla Cataluña

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Quando abbiamo letto sulle graduatorie Erasmus pubblicate nella bacheca della facoltà i nostri nomi accanto alla parola “Lleida”, abbiamo faticato un po’ a capire dove stavamo per andare.
Una rapida ricerca su internet ci ha confermato che è una cittadina spagnola, a un paio d’ore di treno da Barcellona. Catalogna, quindi… beh, ci sarà alcool a volontà almeno! Arrivate in città, ci troviamo in una piccola “metropoli”: edifici altissimi, strade enormi, semafori ovunque (e, da buona napoletana, mi sono chiesta a cosa servisse un semaforo pedonale per un attraversamento di nemmeno 50 metri!). “Carina, dai!” ci siamo dette. Il problema, però, era che per le strade non c’era nessuno, pur essendo venerdì. Negozi chiusi, strade deserte, come mai? Era l’11 settembre, giornata dell’indipendenza catalana, ma noi questo lo abbiamo scoperto solo dopo. Perché “chiudere” completamente una città per un giorno di festa che, però, non è una festa nazionale? Dopotutto la Catalogna è solo una regione, siamo pur sempre in Spagna, no? Dopo 5 mesi di permanenza possiamo dirlo con certezza: non abbiamo vissuto in Spagna, noi siamo state in Catalogna.

La Seu Vella - monumento più importante di Lleida

La Seu Vella – monumento più importante di Lleida

Per capire perché i catalani non si sentano spagnoli, basta dare una rapida occhiata alla storia di questa regione segnata da innumerevoli dominazioni, dei Goti prima, degli Arabi poi, per essere liberata definitivamente da Carlo Magno dopo pochi anni. Nel XIV secolo il suo territorio acquista la denominazione di Principato di Catalogna che raggruppa una serie di contee sotto il dominio del re d’Aragona. Con l’annessione al Regno di Castilla nel 1714 comincia quella che sarà l’eterna lotta tra il potere centrale di Madrid e il desiderio di indipendenza catalana. Sicuramente, il momento più buio dell’intera storia di questa regione è stato quello del dominio franchista, tra 1939 e 1975, in cui il Generale Franco, autoproclamatosi Capo dello Stato con un golpe, vietò l’utilizzo di qualsiasi forma linguistica dialettale, compresa quella catalana. In seguito alla morte del dittatore a nulla valse la collaborazione della regione nel processo di democratizzazione della Spagna; nonostante la promessa del governo centrale di rendere la Catalogna una Comunità Autonoma, quest’ultima non ha favorito una maggiore indipendenza. L’ultimo episodio che ha visto Madrid (governo centrale) e Barcellona (Generalitat) scontrarsi risale alla consultazione non referendaria del Novembre 2014 che ha visto trionfare gli indipendentisti con l’80% dei voti, però, con una affluenza alle urne inferiore al 35%.

Un Paese, quindi, le cui differenze sono state semplici da comprendere, data la pervasività nella vita quotidiana. I nomi delle strade scritti in catalano; le etichette dei prodotti alimentari nei supermercati inizialmente incomprensibili; chiedere il “foc” all’università per accendere una sigaretta o rispondere “merci” alla cassiera che ti dà il resto al supermercato; ma anche ritrovarsi in mezzo a cortei pacifici fatti da ragazzi della nostra età; vedere i balconi tappezzati da bandiere catalane o programmi televisivi in una lingua insolita (poveri Simpson, martoriati da quel doppiaggio orrendo!) o  ancora ritrovarsi in una discoteca con ragazzi che saltano, urlano e si divertono con musica “indipendentista”questi sono alcuni dei momenti in cui abbiamo potuto toccare con mano cosa sia l’indipendenza in Catalogna.

Manifestazione 11 settembre - Catalogna

Manifestazione 11 settembre – Catalogna

Per capirlo ancora meglio, però, abbiamo voluto intervistare Paula, una cara amica che abbiamo avuto il piacere di incontrare in questo percorso. Alla domanda, “cosa significa per te essere catalana?” ci ha detto che  “Per me essere catalana non significa solo essere nata e aver vissuto in Catalogna, ma implica un sentimento di identità, di tradizione e della lingua che parlo, e soprattutto l’orgoglio delle mie radici. Paula, infatti, ci dice che non si identifica con il resto della cultura spagnola, la Catalogna ha la propria lingua, i propri balli, la propria tradizione.. “solo se hai vissuto in Catalogna puoi capirlo!”. Quando le chiediamo cosa ne pensa dell’indipendenza la sua risposta è secca “Sono molto a favore dell’indipendenza, è l’unica via di uscita che vedo per il mio paese. Voglio un futuro migliore, con maggiori opportunità lavorative, gestendo il nostro denaro e investendolo nel nostro paese, non nel resto d’Europa.”. La sua non è ovviamente un’opinione isolata. “Moltissima gente vuole separarsi dalla Spagna, lo vedo nel quotidiano e ogni giorno questo sentimento aumenta. Inoltre il governo non fa bene il suo lavoro e ci spinge a volere sempre più il distacco totale. L’11 settembre, il giorno dell’indipendenza, moltissimi di noi scendono per le strade di Barcellona per reclamare ciò che per noi è un diritto!”.

Insomma, la questione è molto chiara: la Catalogna, al di là delle vicende governative che la portano ad essere ancora parte ancora Spagna, è un Paese a parte, del tutto formato e con un sentimento di indipendenza fortissimo. Noi che ci abbiamo vissuto lo abbiamo capito e ci uniamo alle parole di Paula, che ci ha detto “ Già da molto tempo, quando mi chiedono dove vivo, rispondo che sono catalana. Ora che sono qui a Napoli molte persone mi fanno questa domanda e tutte le persone a cui l’ho detto, hanno capito perfettamente. Moltissimi napoletani mi hanno detto che secondo loro facciamo bene, e che anche loro non si sentono italiani, figurati!”. Ed è tristemente vero, noi, sempre un po’ bistrattati da tutta Italia, riusciamo a capire molto bene la situazione degli amici catalani ed è forse per questo che anche noi, oggi come oggi, ci sentiamo di dire “Yo tinc cor català!
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                             A cura di: Elisa Mormone e Martina Shalipour Jafari

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