L’Infame – Recensione

La scenografia si presenta semplice, quasi povera. Gli elementi di scena sono pochi, gli stretti indispensabili a riprodurre la personalità, l’emotività e l’universo interiore di Mazza ‘e Scopa, l’unico e solo protagonista dello spettacolo, della serata , della mente del pubblico, che osserva concentrato l’abilità del pluripremiato attore Luigi Credendino, capace di mantenere la scena per circa un’ora, sostenuto solo in sporadici momenti dalla voce di un giornalista fuori campo e dalla suggestione di luci ed audio curate dallo stesso regista dello spettacolo. L’oggetto in questione è la rappresentazione dell’Infame, per la regia di Giovanni Meola, rivisitato in occasione del trentennale della Sala Assioli del Teatro Nuovo e ripresentato questo gennaio dopo circa 15 anni dalla sua nascita, anni che hanno visto più di centocinquanta rappresentazioni .

Luigi Credendino ne "L'Infame" di Giovanni Meola

Luigi Credendino ne “L’Infame” di Giovanni Meola

Un testo che mantiene la sua innovazione ancora oggi, un personaggio, quello Mazza ‘e Scopa, che continua ad essere attuale, vivo, vicino alla realtà napoletana più di quanto ognuno possa immaginare. Sì perché l’ ”infame”, non è altro che un pentito, un camorrista di scarsa importanza nel suo ambiente che si pente due volte, per comprendere solo dopo anni di non essere tagliato per la “carriera” destinatagli dal padre. Stravolgente il realismo mai troppo brutale con il quale vengono trattate le tematiche violente appartenenti all’universo della malavita: assassinii, uccisioni, spargimenti di sangue. Momenti drammatici in cui il protagonista sembra mostrare la sua anima, le sue paure e le sue debolezze, si alternano ad una scanzonata irriverenza nella descrizione dei suoi compagni di vita, nonché boss della mala, che strappa quasi un sorriso allo spettatore che si lascia andare al vortice dei ricordi di quello che sembra essere solo un ragazzo nato nel contesto sbagliato. Ed è forse anche questo uno dei tasselli che lo spettacolo intende toccare, una delle tante problematiche che infamano il contesto partenopeo. Lavoro corposo ma fruibile a tutte le fasce del pubblico, poggia le sue basi su un testo vero ed originale e sull’ interpretazione magistrale di un protagonista capace di esercitare un fascino umile che non annoia mai lo spettatore, il quale arriva a vivere quasi empaticamente le sciagure dell’inquisito. Il realismo della “confessione” è tale da essere avvertito perfino dal dottor Raffaello Magi, un importante magistrato, estensore del primo processo al clan dei Casalesi, il quale, dopo aver assistito alla rappresentazione qualche anno fa, ha lodato la pienezza della cifra espressiva del testo, il percorso emotivo del protagonista mai banale e fortemente coinvolgente , e la fantasia dell’autore che ha scritto il testo partendo dalla sua pura fantasia senza raccogliere testimonianza alcuna. Un estratto di realismo misto ad un’ora di piacevole e costruttivo intrattenimento, servito sul palco di questo piccolo e semplice spazio teatrale napoletano situato nei quartieri spagnoli.

Letizia Laezza

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