“La nuova strategia del Terrore” – EDITORIALE

Quanto accaduto in questi giorni a Parigi è sicuramente un evento che nella sua profonda tragicità passerà alla storia. Non solo per essere una vera e propria offensiva al cuore dell’Europa, baluardo e confine del moderno Occidente, ma anche e soprattutto per quello che potrebbe comportare nelle immediate e future relazioni con il mondo islamico.
Perché proprio la Francia e perché proprio adesso.
Sono questi gli interrogativi da cui, a mio avviso, deve partire la nostra analisi.
Non regge la tesi dei lupi solitari, di fanatici isolati che hanno agito senza concreti legami con l’ISIS o altre cellule qaediste, pare yemenite. I fratelli Kouachi erano reduci dal conflitto siriano, altamente addestrati e con una strategia troppo dettagliata per essere stata improvvisata. Dovrebbe far riflettere anche solo la scelta di una rivista satirica come obiettivo, troppo specifico se si considera il generico modus operandi dei terroristi islamici, prevalentemente concentrati su attacchi in aree pubbliche e affollate, luoghi ideali dove poter moltiplicare i danni col minimo sforzo. La questione, dunque, è che l’attacco alla rivista francese è un colpo simbolico alla libertà d’espressione, ad uno dei valori portanti della democrazia moderna, l’aggressione perfetta per chi vuole provocare una reazione culturale da parte della comunità lesa. 

Jean-Marie le Pen, padre di Marine e fondatore del Front National, accanto a un manifesto anti-Islam

E la Francia di questi anni, quella che dal 2011 vede in continua e costante ascesa il partito di estrema destra di Marine Le Pen, spesso arroccato su posizioni islamofobe, è lo scenario perfetto per un’offensiva con questi obiettivi. L’alto numero di foreign fighters francesi, (che costituiscono una preoccupante base militante “mobile” su cui far leva), e l’evidente impasse della comunità internazionale in medio oriente, specie in Siria, sono poi le ragioni strutturali più evidenti che hanno segnato il tempo di un attentato senza precedenti. Un piano preciso che mette in luce il volto nuovo del terrorismo islamico, evoluto e organizzato, capace non solo, come sostenuto da alcuni studiosi, di comprendere le complesse dinamiche geopolitiche, ma anche e soprattutto di saperle sfruttare per il perseguimento dei propri fini, inserendosi di prepotenza come attore protagonista nelle vicende di alcune delle aree più delicate, e importanti, del pianeta.

Ecco quindi perché la Francia di oggi. 1) Perché gli attuali assetti internazionali non consentono di inserire la “guerra aperta” tra le opzioni da scegliere; è improbabile, per intenderci, una controffensiva occidentale tra la Siria e l’Iraq, simile a quella degli Usa in Afghanistan dopo l’11 settembre. 2) Perché la crescita considerevole dei partiti di estrema destra, non solo in Francia, ma in tutta Europa, costituisce il background ideale per la diffusione di un sentimento di paura e diffidenza nei confronti del mondo islamico globalmente considerato, senza nessuna distinzione tra moderati ed estremisti.

Mappa che riporta la collocazione dei principali gruppi jihadisti attualmente operativi

Uno scontro di civiltà: questo il vero scopo dell’attentato a Parigi. L’isolamento di ogni componente del mondo musulmano in Occidente rafforzerebbe, infatti, il richiamo dei fedeli islamici in tutte quelle regioni controllate da gruppi che, con gli scontri degli ultimi mesi, stanno dichiaratamente tentando di costruire realtà politiche stabili. È qui dunque che rilevo l’impronta dell’ISIS, perché anche se alla fine la paternità materiale dell’attentato sarà attribuita ad altri gruppi, è indubbio il fatto che la strategia ambiziosa e innovativa dello “Stato Islamico”, il suo modo di relazionarsi con l’Occidente e con i territori controllati, nonchè la sua capacità di comunicazione nell’era moderna, sono elementi che stanno sensibilmente trasformando la realtà dei vari gruppi jihadisti, ingigantendone gli obiettivi e le strutture. È quello che del resto si può riscontrare in Nigeria, dove Boko Haram, che pochi giorni fa ha raso al suolo 16 villaggi e rafforzato il potere che aveva in alcune delle regioni dello stato africano, ha proclamato in Agosto il “Califfato Islamico”, analogamente, come dicevamo, a quanto fatto dall’ISIS nei territori tra la Siria e l’Iraq.
Insomma, l’incubo che Parigi ha vissuto è solo l’inizio di una strategia a lungo termine che ha come obiettivo primario la radicalizzazione strumentale dello scontro culturale.

Un gruppo di giovani musulmani ha lanciato la campagna “#Not in mmyname” su twitter e youtube per condannare il terrorismo dell’ISIS.

L’Europa deve quindi rispondere subito iniziando a vincere i sentimenti di paura e diffidenza verso il mondo musulmano, integrandone la parte moderata che, proprio in queste ore, grida la sua completa e assoluta estraneità all’orrore fondamentalista. Serve poi un netto cambio di rotta nella politica estera dell’Ue, fino ad oggi colpevole assente negli scenari internazionali e per questo incapace di rappresentare con fermezza i propri interessi e una propria idea di equilibrio. La paura e il sentimento di vulnerabilità che le grandi potenze stanno rivivendo nitidamente dopo molto tempo, deve servire a vincere i particolarismi e a orientarsi, sull’onda del Trattato di Lisbona, verso una politica estera realmente comune.

Infine, occorre una risposta giuridica lungimirante della Comunità Internazionale tutta.
Le norme di diritto internazionale che regolano l’uso della forza delineano uno scenario ormai troppo spesso stravolto dalle posizioni politiche delle grandi potenze, incapace di assicurare “eguale trattamento a situazioni uguali e diverso trattamento a situazioni diverse”, e colpevole di aver creato quello stato di perenne incertezza del diritto che i terroristi stanno ora abilmente sfruttando. Sia chiaro che non si vuole proporre un impianto giuridico stabile allo scopo di consentire il frequente e costante uso di azioni militari “uti singoli”, piuttosto creare presupposti “certi”, (di per sé già validi come deterrenti per qualunque offensiva ingiustificata), a interventi legittimi.

Quello che deve essere chiaro a tutti, all’Occidente in particolare, è che i tempi stanno cambiando molto più in fretta di quanto si poteva immaginare qualche anno fa. La guerra al terrorismo ha più possibilità di essere vinta se combattuta insieme con strumenti giuridici e culturali, piuttosto che militarmente in aree dove i grandi eserciti moderni finiscono a lungo andare per soccombere, logorati da attacchi mirati e resistenza diffusa, in territori aspri dove è fortemente limitata la loro capacità di movimento. Dopotutto, oggi, sembra fare più danni un tweet o un video propagandistico diffuso in rete, anzichè un costoso e rischioso intervento di terra.

Ecco perché dovremmo riflettere su un cambio di strategia, prima che sia troppo tardi, prima che le barbarie e la violenza vincano le resistenze di una società libera e democratica, prima di tornare indietro, a tempi bui che abbiamo tristemente già vissuto.

Salvatore Salzano

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