Da dove arriva la forza dello “Stato islamico”?

Sei milioni di dollari al giorno all’incirca: questa è la cifra che guadagna l’Isis secondo Masrour Barazani, capo dell’intelligence curda e del consiglio di sicurezza regionale del Kurdistan. La domanda sorge spontanea: come può un gruppo di terroristi guadagnare cifre simili rafforzando giorno dopo giorno le proprie milizie?
Le molteplici risposte si trovano in varie interviste di funzionari, analisti e agenti segreti iracheni, curdi, siriani, statunitensi ed europei che ci aiutano ad individuare la provenienza di questo denaro. David Cohen, sottosegretario al terrorismo e all’intelligence finanziaria del dipartimento del tesoro degli USA, spiega che è estremamente difficile arrestare i grossi flussi di denaro che arrivano al gruppo terroristico, in quanto l’Isis si affida a intermediari di tutto il Medio Oriente per fare entrare e uscire contanti, nei territori controllati, attraverso decennali e consolidate vie del contrabbando. Queste ultime sono un vero e proprio segreto che le famiglie irachene tramandano da generazioni, consolidate nei critici anni del regime di Saddam Hussein.

Combattenti dell’Isis

Alle frontiere le guardie chiudono un occhio quando vedono “merci particolari” ed il gioco è fatto. Eppure non è solo grazie alle ” vie dell’illegalità” che i jihadisti si arricchiscono. C’è poi la questione dei finanziamenti privati mascherati da aiuti umanitari, e in realtà diretti al gruppo terroristico. Un esempio chiaro è rappresentato dalle banche del Kuwait e del Qatar, che a differenza di quelle dell’Arabia Saudita, non lanciano nessun allarme quando ricche famiglie o politici versano ingenti somme di denaro.
Un altro stratagemma è quello di tassare tutte le merci esportate ed importate dai territori conquistati, persino quelle indirizzate ad organizzazioni di volontariato. Infine uno dei modi più deplorevoli per arricchirsi da parte dello “Stato Islamico” è quello di saccheggiare siti archeologici. Un archeologo iracheno della Stony Brook University spiega come i jihadisti scavino nei santuari, nelle tombe, nelle chiese, nei palazzi e nei siti archeologici, per vendere poi ad aste di tutto il mondo pezzi unici di antichità e della storia dell’umanità. Secondo alcune ricerche queste barbare vendite sono la seconda fonte principale di finanziamento per il gruppo terroristico.
Da non dimenticare poi i sequestri di persona a scopo di estorsione, un’altra delle principali fonti di guadagno a danno  di stranieri e/o abitanti dei territori occupati.

Nel Corano la parola grande jihad non è la guerra contro gli infedeli o tutte le altre crudeltà a cui assistiamo, ma la lotta di un individuo contro se stesso e i suoi errori.
E’ bene ricordarlo, giusto per evitare facili fraintendimenti.

Chiara Gennari

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